Nella storia mal gestita del post scandalo sui prelievi in nero a domicilio, effettuati da alcuni infermieri del reparto di Emofilia del Policlinico di Bari, emergono diverse complicità e contraddizioni, oltre alla solita lentezza burocratica che ha creato non pochi disagi a quanti realmente hanno bisogno di un prelievo a casa perché disabili, allettati o temporaneamente impossibilitati a raggiungere i diversi centri sparsi nel territorio barese.

Uno dei documenti più controversi, è quello datato 10 marzo, a firma del dirigente medico Giandomenico Losacco e del direttore sanitario del Policlinico Maria Giustina D’Amelio. Tra le disposizioni inviate al direttore generale, alla caposala del reparto di Emofilia e al primario, tirato in ballo dalla coordinatrice nelle dichiarazioni rese agli investigatori, ci sono alcuni punti particolarmente interessanti.

I firmatari indicano la caposala, come si può leggere nel documento, come l’unica a poter accedere alle credenziali del sistema per l’approvvigionamento del materiale utile al Centro (provette, aghi, disinfettanti). La caposala, viene individuata anche come colei che avrebbe provveduto alla distribuzione di quanto necessario al prelievo ematico, che avrebbe inoltre provveduto a fine giornata al recupero e alla conservazione adeguata del materiale non utilizzato.

Scelta condivisibile, se si considera che è stato possibile iniziare a debellare l’atavico malcostume, tollerato finora da tanti dei vertici del Policlinico e della Asl, soprattutto grazie alle dichiarazioni della caposala in questione. Peccato, però, che la coordinatrice nel frattempo sia stata trasferita in direzione sanitaria. Una denuncia dettata dall’esasperazione, per quanto quanto accadeva sotto i propri occhi e quelli dei suoi superiori, senza che alcun provvedimento fosse stato preso nonostante le sue segnalazioni.

Dopo la considerazione, due domande. Nel documento si legge “Nelle more dell’implementazione informatica…”. Nelle more di che? Se tanti conoscevano benissimo come funzionava il meccanismo, perché nessuno ha fatto niente per definire in tempi non sospetti le procedure informatizzate in grado di regolarizzare i prelievi e le successive analisi? E ancora, sulle modalità dei prelievi ricevuti dall’esterno, bisogna concordare l’accettazione con la Asl. Possibile che un’Azienda universitaria, con fior fior di luminari, prenda tempo nel definire una banale procedura clinica? Probabilmente sono domande alle quali sta tentando di dare risposte chi indaga sulla prassi così diffusa da diventare regola.