Caro Nicola, ti ringrazio per aver supportato la mia inchiesta sulla Croce Rossa in questi mesi. Per tante ragioni abbastanza ovvie, essendo io un iscritto alla gloriosa associazione, abbiamo ritenuto opportuno che a firmare i pezzi fossi tu, evidentemente credendo alla bontà di quanto scritto. Alla luce degli ultimi accadimenti, però, ritengo di dover venire allo scoperto, rivelando a tutti la mia identità, principalmente a chi come me crede nei valori della Croce Rossa.

Dunque, il Nicola Banti che per tutti questi mesi ha firmato gli articoli in realtà sono io, Cristiano Adolfo Degni. Detto ciò, adesso mi rivolgo a te, carissimo presidente, e sottolineo carissimo. Nell’attuale Croce Rossa Italiana esistono due profondi misteri, l’identità di Nicola Banti (ormai svelata) ed il costo del segretariato generale di Flavio Ronzi. Perché spendere i soldi dei volontari in improbabili intasamenti di Tribunali? Perché far perdere tempo alla Procura della Repubblica che ha ben altre indagini da fare, quando hai sempre saputo chi sono e non hai mai alzato il telefono per chiamarmi? Hai scritto post su post con il mio nome sulla tua pagina Facebook.

So bene cosa ti fa paura, che qualcuno possa mostrare ai volontari che cominciano a porsi domande sempre con maggiore insistenza, che l’imperatore è nudo, che i vestiti nuovi non esistono e questo, nella tua Croce Rossa è peccato. È un peccato porsi domande, farsi venire dubbi che possano trasformare le scimmiette spaziali che tu ed i tuoi amici utilizzate a piacimento, in persone vere, pensanti. Il secondo segreto, invece, credo sia la vergogna della Croce Rossa, una cosa di cui non si deve parlare e che deve rimanere nell’opacità più totale.

La ragione della coltre sul costo del contratto del segretario, probabilmente potrebbe risiedere nell’avidità di alcuni elementi che ritengono di usare una gloriosa ed antica associazione di volontariato come proprietà privata, mandando alle ortiche una gestione veramente trasparente. La molla che mi ha spinto in questo viaggio nell’abisso è stata proprio la mancanza di trasparenza che ormai tutti, volontari compresi, sentono come una pesantissima macchia nel dna del sodalizio. La telefonata non c’è stata, hai preferito attendere una delazione, il levarsi del solito dito accusatorio, perché nella tua Croce Rossa si fa così.

E la delazione non è arrivata, perché volontari e dipendenti vogliono bene a Nicola e a quello che Banti rappresenta per loro. Lui è diventato la riposta ad una sete di trasparenza che nessuno ha mai voluto soddisfare in un’associazione autoreferenziale, che non riesce a rinnovarsi perché non riesce mai a mettersi in discussione, che non riesce a coniugare la propria quotidianità con regole, rispetto, lealtà. Un’associazione che spende ogni anno centinaia di migliaia di euro in comunicazione ma non ascolta i propri volontari, i loro sentimenti, o coltiva le loro legittime aspettative.

Non ho rilevato prima la mia identità semplicemente per riportare questo dialogo su un livello paritario. Tu, infatti, riesci a soddisfare le tue necessità, a marcare il territorio, usufruendo dei mezzi e dei denari di Croce Rossa. Si è visto come questi siano stati usati per difenderti dalle reazioni, giuste, dei soci che si sono trovati per puro capriccio sanzionati disciplinarmente. Non ricordo un solo episodio che ti abbia visto vittorioso, ma so che migliaia e migliaia di euro di denari dell’Associazione sono stati spesi nella tua caccia alle streghe.

Proprio per la disparità di questo tipo di contesa, ho ritenuto opportuno chiedere asilo a chi come me crede nella sacralità del nostro mestiere. La tua Croce Rossa non assomiglia nemmeno lontanamente all’idea di associazione che ha la maggior parte degli iscritti ai quali non voglio far spendere un euro, sapendo quanto disastrate sono le casse dell’ente. La mia battaglia per una Croce Rossa più trasparente, a cominciare dalla questione del secondo segreto di Roma, i costi del segretariato, andrà naturalmente avanti con il conforto degli amici che in questo tempo hanno coltivato con me l’idea che ci deve essere un altro modo di fare e vedere le cose. Io ci credo, noi ci crediamo. Tu, tieniti la tua privatizzazione.