Purtroppo è tutto prevedibile, sembra tutto già scritto. A mesi dal suo inizio, l’appalto per il servizio di emergenza nella Regione Lazio ancora non è a regime. La Croce Rossa Italiana non ha ceduto le postazioni e con arzigogoli vari sta continuando un servizio che per effetto di legge e di contratto deve essere interamente gestito, per tre anni, da un altro soggetto imprenditoriale. A dire questo non è il solito giornaletto telematico ma addirittura l’ufficio di Raffaele Cantone, il presidente dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione.

Cosa vuole sapere Cantone? Se questo giochino prolungato serva a moltiplicare i costi per i contribuenti che, questo è il sospetto degli investigatori, pagherebbero almeno due volte lo stesso servizio. Come abbiamo già denunciato, in effetti almeno nella zona di Roma la Croce Rossa provinciale, i Ronzi boys, per intenderci, effettuerebbe il servizio di emergenza a spot, cioè con postazioni che vengono attivate con subforniture direttamente contrattate, senza passare per la procedura concorsuale a mente di una non meglio precisata emergenza. Un mondo per mantenere surrettiziamente un piede dentro, dopo che anche la magistratura amministrativa aveva e sancito che la gara era stata regolarmente assegnata a chi altrettanto regolarmente l’aveva vinta. Quindi esistono, secondo i sospetti dell’ANAC, due contratti, uno in capo all’associazione di imprese vincitrice dell’appalto ed un altro, ugualmente pagato dalla regione con soldi pubblici, del quale sarebbe beneficiaria la Croce Rossa di Ronzi.

Naturalmente la vincitrice dell’appalto non protesta, i suoi denari sono garantiti e anzi il concorso dei ragazzi in tuta rossa le allevia le fatiche, specialmente quando il gioco si fa duro. Il fatto di far pagare due volte gli stessi costi è un giochino nel quale Croce Rossa Italiana è caduta spesso. Due gli esempi più eclatanti. Croce Rossa, tanto per intenderci, ha un bilancio che è costituito di rimesse statali che servono per pagare i dipendenti pubblici. Poi la Cri può anticipare le retribuzioni e le indennità di missione per altro personale avventizio, assunto o richiamato alla bisogna, per esigenze d’Istituto. Quei costi venivano rimborsati dallo Stato. I due casi sotto la lente della Guardia di Finanza riguardano, tanto per citare due esempi eclatanti, il CARA di Castelnuovo di Porto, nel quale il costo per le retribuzioni dei dipendenti di Cri, quasi tutti appartenenti al Corpo Militare, veniva inserito nei costi da rimborsare, quando lo Stato già provvedeva al pagamento delle retribuzioni di questi soggetti. Abbiamo dato notizia dei numerosi accessi delle Fiamme Gialle alla ricerca dei documenti di questo tipo di contabilità a “doppie entrate”. La provvista che si è costituita in questo modo ha in parte risanato il grande e profondo buco esistente nei conti di via Toscana.

Altra posizione amministrativa nella quale venivano duplicati i costi del personale, a dire dei sindacati e della Guardia di Finanza, è quella delle missioni svolte dal Corpo Militare in qualità di completamento degli assetti sanitari dei contingenti di truppe inviati in Iraq nell’ambito della missione “Antica Babilonia”. Anche qui da via Toscana si usava richiedere il rimborso di partite stipendiali che erano già state caricare, per naturale destinazione, sulla contabilità pubblica e quindi, quando rimborsate, sortivano l’effetto di far pagare due volte dallo Stato, cioè da noi, gli stessi stipendi. La finanza creativa di via Toscana è stata però solo un palliativo. La Croce Rossa si sta sgonfiando come un gommone bucato sulla spiaggia e i volontari che ancora remano rischiano di affogare in un palmo d’acqua, mentre continuate a chiamarla privatizzazione.