Il 29 dicembre la firma al tavolo del notaio, con l’atto che ha decretato le esequie della Croce Rossa nata dall’idea di Dunant e la nascita di quella partorita dalla mente dell’affossatore Francesco Rocca e subito si vedono gli effetti della privatizzazione. Con una lettera di fuoco, il commissario del comitato regionale del Veneto, Francesco Rosa, annuncia che da Capodanno la presenza dei novantanove migranti all’interno delle strutture Cri di Jesolo “potrebbe configurarsi quale presenza non autorizzata”, con tutto il corollario di problemi che ne possono conseguire per gli ospiti, i volontari, i dipendenti della Croce Rossa e la cittadinanza jesolana.

La missiva continua spiegando che dall’inizio del nuovo anno si era pensato ad un’associazione di promozione sociale per nominarla gestore di questa piccola emergenza, ma nessuna Aps del Veneto si è fatta avanti o è in grado di gestire la situazione. Quindi chiede alla Prefettura di Venezia di provvedere altrimenti per proseguire l’accoglienza di queste novantanove sfortunatissime persone. La resa del commissario Rosa è emblematica di una situazione che vedrà, in brevissimo tempo, tutte le realtà della nuova Croce Rossa alzare bandiera bianca, senza più la Croce al centro.

L’accoglienza a Jesolo era gestita dai soli dipendenti. Già da tempo i volontari erano usciti di scena, se non con qualche sporadica apparizione e comunque tutto filava alla perfezione. Lo scenario è cambiato. I dipendenti sono in mobilità e i comitati privatizzati, diventati Aps, hanno altro a cui pensare, alla faccia dell’assistenza ai bisognosi e a quella dell’integrazione ad ogni costo. Il profitto prende il posto dell’assistenza e probabilmente cambieranno anche tutti gli slogan. L’Aps provinciale di Roma, quella guidata dal quasi certo prossimo presidente nazionale Flavio Ronzi, ha inviato ai dipendenti le buste paga ma in molti non hanno ancora ricevuto l’accredito.

Nella sede di via Toscana è in atto una guerra, nemmeno tanto sorda, e i dirigenti scaricano le magagne, accumulate negli anni, che solo ora stanno venendo alla luce tutte assieme, sul groppone dei dipendenti. Iniziano a fioccare i provvedimenti disciplinari, ingiustificati e spesso motivati soltanto dalla necessità di evitare le sanzioni che la Corte dei Conti, col ciclostile, sta preparando nei confronti dell’Ente sprecone, quello che strapaga i suoi addetti stampa, che compra tre volte lo stesso quotidiano, che assegna un televisore schermo piatto al presidente insieme a due auto di servizio. Sì, due macchine per portare in giro la stessa persona, che spende 80.000 euro per una serata di beneficenza e compagnia cantando.

Come fanno a sorridere le tredici persone che ieri si sono radunate intorno ad un tavolo a firmare quello che il notaio metteva sotto il loro naso. Cosa avranno da giubilare? Hanno avuto la possibilità di rilanciare l’associazione di volontariato più grande d’Italia e invece l’hanno fatta morire sotto debiti, commissariamenti e provvedimenti disciplinari. Sono riusciti nell’intento di smantellare il patrimonio di un’interna Nazione ed hanno tutti i dipendenti contro, anche quelli che sono ancora convinti che non subiranno danni da questa liquidazione coatta.

Il commissario del Veneto, quello che ha messo alla porta le crocerossine, alza le mani, è impotente, non può assicurare i servizi, dopo aver allontanato le volontarie più preziose, ma non ha allegato alla lettera inviata alle massime autorità quella contente le sue dimissioni, unico riconoscimento di dignità. Le novantanove persone che hanno cercato rifugio in Italia da domani saranno un pacco postale, come lo saranno i 4000 dipendenti ed i militari del glorioso Corpo della Cri. Altrettanti ostaggi di un potere assolutamente autoreferenziale saranno anche i 150mila volontari ed in molti si stanno rendendo conto di essere strumenti nelle mani desiderose di profitti di altri. Se anche a voi va bene così, continuate a chiamarla privatizzazione. Tanto Henry Dunant non lo verrà mai a sapere.