Le elezioni dovrebbero essere alle porte, ma i comitati locali e provinciali sono in fibrillazione per una questione di soldi. Si tratta dei fondi che i comitati avevano accumulato durante i precedenti esercizi ma che, alla fine del 2012, erano rimasti incastrati nella contabilità dei comitati. Sì, perché il giorno dopo, per effetto del decreto 178, sarebbero diventate associazioni private. Il saldo di cassa al 31 dicembre 2012 era quello di un comitato che aveva la natura giuridica di ente pubblico. Il comitato centrale, anche al fine di ripianare i vistosi buchi del suo bilancio consolidato, ne reclamò la metà, pagata cash da tutti i comitati che erano in attivo.

Da allora, con la metà di quei fondi, i soldi rimasti praticamente in cassa, i comitati hanno svolto attività, comprato mezzi, attrezzature e pagato fitti e utenze. Adesso la doccia fredda. Due le comunicazioni in arrivo: una da parte di via Toscana, che vuole anche la disponibilità dell’altra metà; l’altra dalla Corte dei Conti, con pesanti contestazioni. La magistratura contabile conferma la natura pubblica dei comitati di Croce Rossa alla fine del 2012 e quindi sostiene che i denari che il comitato centrale ha lasciato nei conti di quelli locali appena diventati Aps, associazioni con tanto di nuovo codice fiscale, siano una sorta di donazione senza motivo o finanziamento indebito eseguito da un ente pubblico nei confronti di un soggetto privato. Ne chiedono quindi la restituzione alle casse di via Toscana, paventando di aprire una procedura per la determinazione dell’eventuale danno erariale.

I comitati locali e provinciali, alla vigilia del rinnovo delle cariche sociali, sono tornati a un possibile anno zero, un anno buio e senza soldi, al punto di partenza. L’unica risposta possibile ad una domanda del genere è quella di riconsegnare i denari in proprio possesso o fare in maniera di procurarsi quelli già spesi e non reintegrati. Su tutta questa operazione pende lo spettro della responsabilità patrimoniale personale della nuova dirigenza dei comitati privatizzati, che non sono più protetti impersonalmente dallo scudo recato loro fino a poco tempo fa dalla qualificazione pubblica della loro attività economica.

Un’altra falsa partenza quindi per una privatizzazione, come piace chiamarla a voi, che non ha mai avuto il senso del riordino che si portava in dote la delega parlamentare al Governo Monti, ma che è sembrata fin dalle prime battute semplicemente l’arrembaggio al patrimonio dell’associazione di volontariato più grande d’Italia. Un’operazione nata male, che si concluderà nella maniera peggiore mai immaginabile, lasciando sul terreno non solo beni, soldi e i diritti dei lavoratori, ma anche i sogni traditi di tutti quei volontari che in quasi tre secoli hanno donato tempo, sangue ed energie nel tentativo, riuscitissimo, di alleviare le sofferenze dei più deboli.