Un uomo e una donna. Un’amicizia che li lega da anni.
Due mondi diametralmente opposti e così incredibilmente diversi da volersi
avvicinare.
Una tela… bianca.
Questi gli elementi significativi che danno vita ad “H-Art”, ispirato al
capolavoro teatrale scritto da Yasmina Reza.
Una fotografia che restituisce 50 minuti di vita reale, uno spaccato in cui
lo spettatore entra nel “salotto” che ospita il quotidiano dei due
protagonisti: Sara e Sandro.
Una tela bianca, il personaggio muto, elemento imprescindibile, punto d’inizio
e punto d’arrivo, nonché il filo conduttore dell’intera pièce.
Bianca, già… all’apparenza; una tela bianca che assume però, agli occhi di
chi guarda oltre, molteplici colori che rivelano contrasti, pareri,
discordie e soprattutto affetti… l’oggetto del contendere tra i due, il
pretesto per analizzare le dinamiche reali del rapporto di amicizia che lega
un uomo ad una donna. In scena il tema ambiguo della “comprensione” dell’arte
contemporanea e l’amicizia messa in crisi da un quadro bianco, pagato molto,
forse troppo. All’interno di questo “salotto” tutto vive: il telefono,
elemento apparentemente in disparte, diventa il terzo protagonista, una
valvola di sfogo attraverso il quale Sara e Sandro si confidano, si misurano
con la terza parte di sé; la musica prende vita dall’interno attraverso un
giradischi; essa non come motivo di accompagnamento, ma come melodia che
definisce lo stato emozionale dei due.
Lo spettatore, attraverso le vicende e le dinamiche interpersonali è
costantemente coinvolto, assume un ruolo attivo e partecipa, contribuendo
alla rottura della quarta parete.
Pochi elementi:
un salotto,
un giradischi,
un telefono,
un quadro bianco,
Sara, Sandro… “H-Art”.

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