Per un equivoco sull’orario d’inizio mi sono perso la prima barese di questa interessante produzione del Rossini Opera Festival, che ha aperto la Stagione d’Opera 2017 della Fondazione Petruzzelli. Ho quindi assistito alla recita del 31 gennaio, cioè del turno B.

Non me ne dolgo più di tanto, gentili lettori; sicuramente della prima hanno parlato e scritto tanti, colleghi e non, al contrario delle recite successive. Va aggiunto che le prime, non solo a Bari, sono generalmente più frequentate da un pubblico mondano, da autorità politiche interessate ad apparire, soprattutto adesso che le elezioni sembrano avvicinarsi, dai nuovi ricchi che devono far mostra di sè. Più si allontana la prima più il pubblico migliora di qualità.

Stesso discorso per l’ordine di posto: più si sale nel teatro, meno costa il biglietto, più cresce la qualità del pubblico. Al mitico Teatro alla Scala di Milano, onore e vanto dell’Italia nel mondo, erano e ancora sono i loggionisti a decretare il successo o l’insuccesso di una prima esecuzione, non certo i papaveri seduti nelle prime file della platea o nei cosiddetti palchi d’obbligo.

Ci è voluto un bel coraggio, dopo le ancora non sopite vicende di cronaca, non certo edificanti per la gestione della Fondazione Petruzzelli, che hanno visto la nostra testata in prima linea e, talvolta, in splendida solitudine, a mettere in scena per inaugurare la stagione lirica 2017 un titolo del genere: la gazza ladra.  Aggettivo compromettente, che si prestava a facili ironie, magari dozzinali. Chapeau, dunque, in questo caso, nei confronti del sovrintendente Massimo Biscardi e, visto lo spettacolo, non solo per questo coraggio, ma anche e soprattutto per la qualità di queste recite inaugurali.

La prima scena, francamente, non mi ha entusiasmato, anzi. Il lunghissimo lenzuolo calato dall’alto sulla gazza, che dorme in un letto, lenzuolo che si trasforma in un’altalena, su cui dondola la gazza (l’acrobata, ballerina e coreografa Sandhya Nagaraja), sapeva di déjà-vu, e non una sola volta. Il grande Roberto De Simone quel lenzuolone l’ha utilizzato nelle sue produzioni finanche munito di gancio, e non è stato nè il primo, nè il solo.

D’altronde non è oggettivamente  facile sottolineare la suggestione di un deus ex machina, qual’è la gazza nel libretto di Giovanni Gherardini, musicato da Gioachino (o Gioacchino, secondo altri) Rossini. Man mano che l’opera è andata avanti l’allestimento scenico che era quello del Rossini Opera Festival si è rivelato sempre più suggestivo ed interessante. Proprio in ciò il contrasto con un inizio scontato.

Altrettanto belli i costumi: non erano solo stoffe confezionate, erano piccole opere d’arte parlanti, che sottolineavano la caratterizzazione dei personaggi. Scene, costumi e finanche le attrezzerie hanno contribuito a rendere la regia di Damiano Micheletto, ottima, quasi perfetta, se la perfezione appartenesse all’uomo. Se quei cilindri calati dall’alto sono diventati, nel dispiegarsi della trama e delle scene, progressivamente colonne, alberi, suggestivi ed impressionanti cannoni, lo si deve sì, certo, alla simbiosi tra scenografia e regia, ma anche e soprattutto al’impeccabile disegno di luci firmato da Alessandro Carlettii. Tanto ben pensato da smentire la precedente affermazione sugli umani limiti. Non ricordo nulla di così vicino alla perfezione. Eppure ne ho visti di spettacoli e disegni luci affascinanti, a cominciare da quelle “rivoluzionarie” di Lele Luzzati. Carletti, con un semplice gioco di riflessi sull’acqua, costruisce una prigione tetra, greve, al cui cospetto quelle di Silvio Pellico diventano un hotel ad almeno 3 stelle. Ed i cilindri, lì posti orizzontalmente, divengono barriere, sui quali s’inerpica la gazza-Nagaraja, senza il minimo sforzo, senza un’incertezza, con una stupefacente naturalezza. Grandiosa.

Il cast è notevole. Nelle voci maschili svetta il Gottardo-Podestà di Carlo Lepore, il cui primato è, talvolta, insidiato dall’altrettanto bella voce di Fernando Villabella, interpretato da Simone Alberghini. S’impone anche Davide Giangregorio, nella parte non certo tanto secondaria di Fabrizio Vingradito. Da sottolineare la bella prestazione di tutti gli interpreti maschili, anche nei ruoli minori.

La Ninetta è resa straordinariamente bene, sia dal punto di vista dell’interpretazione vocale, che da quello della drammaturgia, da Christina Daletska. La mezzosoprano ucraina non so se fosse martedì scorso in assoluto stato di grazia, ma se canta sempre così è destinata a lasciare il segno nella storia del canto lirico. Mostra una maturità artistica assolutamente non comune.

Gradevole, con una buona caratterizzazione del personaggio Pippo, Victoria Yarovaya. Non sembrava in voce all’inizio della serata la “nostra” (è pugliese) Loriana Castellano, cui era affidato il ruolo di Lucia. Man mano che si è andati avanti è cresciuta e la sua prestazione è divenuta più che buona.

Ottimo il coro, magistralmente preparato da Fabrizio Cassi. Buona la direzione di George Petrou, soprattutto per quanto riguarda il palcoscenico. Per ciò che concerne l’Orchestra, assoli senza sbavature, ma il crescendo rossiniano non mi ha convinto più di tanto. Intendiamoci, c’era, ma non mi ha entusiasmato come accade spesso ascoltando le belle pagine composte da Rossini. Pubblico abbastanza numeroso e attento, che definirei competente, ha tributato alla serata i meritati applausi, anche a scena aperta, oltre che sul finale.

Bell’inizio per una stagione, la 2017 importante per il futuro della Fondazione Petruzzelli. Ad maiora? Io sarei soddisfattissimo se il livello si mantenesse sempre, od anche solo prevalentemente, così alto. Curato ed elegante finanche il libretto di sala, a cui le introduzioni di Giovanni Carli Ballola e di Alberto Zedda, hanno dato ampia dignità.

Appena dopo l’ultima recita de La gazza ladra, il successivo giorno 3 febbraio il sipario del Petruzzelli si è aperto su Martha Argerich, solista d’eccezione del concerto dell’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, per l’occasione affidata alla guida del suo direttore principale Yuri Temirkanov, quasi sicuramente l’evento più importante dell’anno musicale barese.

Un bel tris d’assi (Martha Argerich, Yuri Temirkanov e l’Orchestra di San Pietroburgo) nella manica della Fondazione Petruzzelli e con questa Gazza, il poker d’assi è stato assicurato.