Perché Pasquale Giura ha sentito il bisogno di nascondersi dietro un nome d’arte?

In realtà è colpa di mio padre – scherza. Da piccolo partecipai con mio fratello Luca (in arte Molla, ndr) ad un concerto in parrocchia dove i bambini suonavano e cantavano con i genitori. Alla fine dell’esibizione, il presentatore chiese a mio padre: “Chi è suo figlio?” e lui indicò soltanto Luca, dimenticandosi di me, ed io per scherzo gli dissi che se mai mi fossi dato alla musica avrei assunto il cognome di mia madre. La cosa è tornata molti anni dopo, quando mio fratello partecipò a Sanremo con gli Ameba4 sotto la guida di Caterina Caselli che non sbaglia un colpo. Convinto che avrebbero avuto successo, decisi che non avrei voluto essere indicato come il fratello di, ma che se ce l’avessi fatta sarebbe stato per merito mio.

…e perché ti definisci spesso un pirata?

Parlando delle persone, si dice sempre che uno può essere dentro oppure contro corrente. Di questa vicenda io non ci ho mai capito molto. Conosco e conoscevo tanta gente che dice di essere alternativa, noi siamo gli alternativi, ma allora, penso io, quelli non alternativi sono i vostri alternativi per cui non ne vedo il senso. La questione non è schierarsi, quindi, ma scegliere un percorso personale, di far proprie sia idee banali sia non banali. Non sono mai stato il cantautore col bicchiere di vino in mano, secondo i canoni di questa figura eterea proposta dalla scuola genovese. Quando finisco un concerto io vado a casa a giocare alla playstation!

Spero non a Guitar Hero…

Quelli proprio non li capisco, vedo dei tipi che si immedesimano totalmente e si impegnano fino allo spasmo, ma perché non studiano veramente chitarra, dico io!

Dicevi del pirata…

Ah già. Io non voglio stare né dentro né fuori dalla corrente, per ora. Voglio cercare di guardare la cose con occhio critico e poter scegliere. Pensa al protagonista de “Il Pianista sull’oceano”: non vuole scendere dalla nave perché le strade non sa mai dove vanno a finire, al contrario della nave di cui sa perfettamente dove inizia e dove finisce. Ecco, secondo me è una bella idea, creare il proprio habitat, la nave appunto, farci salire le persone che vuoi, e con il cannocchiale osservare cosa succede nel mondo. Se vuoi provare a spiegare qualcosa, devi necessariamente farlo dal di fuori. Io voglio stare sulla mia nave, senza dare fastidio a nessuno e provare a capire come vanno le cose dall’esterno.

Accennavi agli “alternativi”, cosa pensi del movimento indie?

È diventata una parola di facciata, come quando mi iscrivo ai concorsi e mi chiedono che genere suono. Io dico: sono un cantautore. Ah ok, mi rispondono, quindi fai folk-rock, perché il cantautore fa canzoni popolari però dice le cose con grinta. Il fatto è che io di rock e di folk ho davvero poco, per cui non sanno mai cosa scrivere. Prendiamo una band indie-rock per esempio, cioè che fa rock indipendente: può essere l’indipendenza un carattere sonoro? Che ne pensi tu?

…credo di no…

…però va forte! – ride. Indie vuol dire che si ribellano alle major, hanno bisogno dell’etichetta indipendente per poter fare ciò che vogliono. Mi chiedo: tutte le band indipendenti hanno mai avuto una possibilità di scelta? Se arriva la Sony o la Universal, vuoi fare l’indipendente con loro? Per il momento non l’ho capito, però ti prometto che approfondirò l’argomento.

Dopo anni di oscurantismo sembra essere il momento dei cantautori…

L’interesse che la gente sta manifestando per cantanti come Samuele Bersani, Niccolò Fabi o Daniele Silvestri sembra promettere bene, come pure esistono molti concorsi per la canzone d’autore. Di recente ho aperto qui i concerti di cantautori provenienti da altre città, cosa impensabile fino a poco tempo fa, a Bari c’è anche il Club della Canzone d’autore di cui saluto il presidente, se lo vuoi scrivere…

…anche no…(naturalmente scherziamo)

…da una parte c’è una certa difficoltà a proporre il vecchio e dall’altra a promuovere il nuovo cantautorato, che a mio avviso dovrebbe unire il testo e la musica in parti uguali. Secondo me non è più tempo di fare quelle cose che proponevano i mostri sacri della canzone italiana come Dalla, De Gregori, Ciampi…

…complimenti per la citazione…

Grazie, ma ce ne sono davvero tanti. Secondo me, il cantautore moderno di vent’anni o trenta non deve presentarsi come uno strascico degli anni ’70, con una chitarra poco importante, due o tre accordi e un cantato quasi recitato. In passato, la differenza tra cantautore e poeta era molto sottile, invece il mio lavoro è sì sul testo, ma anche di continua ricerca sulla melodia. La linea che voglio seguire è proprio quella di restituire importanza alla musica, i vecchi pezzi del mio repertorio sembrano figli di De Gregori o altri e io non mi riconosco, sono più io.

Quindi c’è una svolta in atto…

Sentivo l’esigenza di una linea melodica tutta mia, di ridare importanza agli strumenti, nella band io sono l’ultima ruota del carro, anche se il gruppo porta il mio nome i veri musicisti sono gli altri. Ho cambiato sala prove, sono cambiati i componenti della band, sento il bisogno di proporre i miei contenuti in chiave moderna, al passo coi tempi. Un po’ come parlare in italiano corrente piuttosto che in greco antico.

Guardando il sito della band o su Facebook si notano lunghi periodi di inattività. È per via di questa svolta?

Principalmente è per colpa del mio lassismo cronico. A onor del vero, la musica è il filo conduttore della mia vita. Ho fatto di tutto, cambiato università, lavoro, mentre la musica non l’ho mai abbandonata perché per me è sempre stato un gioco…

…un gioco serio…

…come una partita di Risiko a soldi! – ride. La dimensione del gioco c’è sempre, però è una cosa seria. Aggiungi che, dopo aver registrato una demo, ci siamo concentrati sulle serate, per cui sulla rete pubblicavo solo gli eventi. A gennaio dovrebbe essere pronto il primo disco e da lì vorrei iniziare a pubblicare su Internet più assiduamente. In effetti molti credono che abbiamo smesso di suonare.

Nel cantautorato moderno c’è posto per altre cose che non sia il solito amore cantato e ricantato?

Dipende dall’autore naturalmente. Personalmente la penso come Troisi, il quale sosteneva che per stare bene bisogna soffrire, con la differenza che per una canzone di tre minuti, diceva lui a Pino Daniele, basta patire due ore, per girare un film devi stare male una vita. Per me è una cosa bellissima questa. A volte, quando sto soffrendo per qualcosa, mi capita di pensare: ma io posso scriverci una canzone! E vado. Ti devo dire che alla fine, davvero, mi sento meglio. Questo non significa che sono diventato immune o indifferente a quella situazione, ma che ho esorcizzato, ho allontanato da me quel dolore. Scrivere è terapeutico. E quella canzone può avere una sua utilità, può far riflettere anche altri. Per tornare all’amore, tutte le canzoni che sto scrivendo in questo periodo, come “Cattivo Tempo” che hai sentito per primo, fanno riferimento al tempo meteorologico ma anche cronologico, nel senso di momento attuale. È come se mi stesse sfuggendo qualcosa e in qualche modo, scrivendone, stia cercando di afferrarla.

Hai detto: “Credo di poter attribuire all’imprinting della mia attività cantautorale la sfrenata ricerca di libertà nel senso più ampio del termine”. Allora cos’è la libertà?

Ho sempre avuto grossi problemi nel prendere una decisione, c’è qualcosa che mi limita nel decidere. Tutti abbiamo dei limiti nel dire certe cose, per esempio. Mancanza di carattere o degli attributi pensa qualcuno. Ci sono altri limiti interni a noi, che io vivo come barriere. Per gentilezza, non posso dire una certa cosa ad una persona perché ha una propria sensibilità su quell’argomento. Queste barriere diventano una autocastrazione, come l’orgoglio, e sto facendo un lavoro per abbatterle. La musica al momento è una maniera comoda per poter dire alcune cose, quella è la libertà che vorrei raggiungere.

Hai rinunciato ad una vita da ragioniere per dedicarti alla musica, ad essa hai quindi dato la tua vita, ma tu dalla musica cosa vuoi?

Aver lasciato un lavoro sicuro per la musica è già la prima forma di abbattimento delle barriere di prima, perché fondamentalmente il lavoro è una forma di castrazione, a meno che uno non faccia il lavoro che gli piace. Tu in questo momento stai lavorando?

…???…

…cioè vivi questo momento come una forma di castrazione?

…no…

Ecco. La musica mi ha già soddisfatto dal punto di vista dell’espressione, nel senso di esorcizzare come dicevamo prima. Ora quello che vorrei è che il Pasquale vero, attraverso la musica, arrivasse ai più, e tramite questo canale potesse fare qualcosa. Mi piacerebbe che una persona si sentisse come mi sentivo io quando ho scritto la canzone. In questo senso, e non per fama, farmi ascoltare da più persone possibili. Pensa ad un concerto come il Primo Maggio, e realizzare un pensiero unico, una emozione comune, o far riflettere su alcune cose nel caso di una canzone di critica sociale. Ho anche scoperto che esiste un premio per la divulgazione scientifica attraverso le arti, e la scienza è un altro mio pallino. Mi piacerebbe riuscire a spiegare il funzionamento delle cose attraverso la musica, oggi il livello di ignoranza è terribile.

Line up:
Pasquale Giura, voce chitarra e testi
Roberto Ritrovato, chitarra
Gese Marsico, batteria
Pierpaolo Brescia, tastiere e sequenze
Emanuele Manzo, basso

 

Fotografie di Giovanna Mezzina