«Mi sento un privilegiato, perché posso permettermi la pediatra a pagamento e perché ho amici giornalisti a cui posso raccontare quello che è successo». Nella voce di un padre di famiglia si sente tutta l’amarezza di chi sa che, in fondo, che a lui e a suo figlio è andata bene.

Ieri sera, poco prima delle 22.00, il piccolo, di appena 5 mesi, ha iniziato a piangere, strillare e contorcersi, in preda evidentemente a forti dolori. Preoccupati, mamma e papà, hanno velocemente portato il piccolo al Pronto Soccorso dell’ospedale pediatrico Giovanni XXIII.

Al loro arrivo, la sala di attesa è gremita, ad aver bisogno delle cure mediche ci sono una decina di bambini. In servizio, però, ci sono un solo medico e un solo infermiere. Pochi per gestire adeguatamente la situazione, tanto è vero che c’è chi aspetta addirittura dalle 19.

I genitori sono molto preoccupati, il bimbo è cianotico, ma quando chiedono aiuto, la risposta che ricevono è disarmante: «Ci sono altre urgenze prima, ci ha detto l’infermiere, senza nemmeno aver dato un’occhiata al bambino».

Perfino per poter fare almeno la semplice accettazione, racconta il padre, è stato necessario alzare la voce: «Ero molto spaventato e forse ho anche esagerato – dice – ma credo sia normale con un bambino così piccolo che non può nemmeno farti capire cosa gli fa male. Anche gli altri genitori si sono avvicinati, quanto meno per darci sostegno».

Mentre il bimbo piange e si dimena, intorno anche gli altri tra genitori e figli danno segni di nervosismo, a nessuno piace aspettare specie quando non sta bene, e a nessuno piace “sbattere la faccia” contro la disorganizzazione della Sanità.

A farne “le spese”, come spesso succede, l’incolpevole infermiere, costretto a fare la spola tra l’accettazione e l’ambulatorio per assistere il medico, e a subire le lamentele dei presenti a cui però ha pensato bene di rispondere con un bel “Ecco quello che vi tocca per aver votato Emiliano”, o qualcosa del genere.

«Non mi piace fare la parte del terrone che quando si trasferisce al nord dice peste e corna del sud – sospira il padre del bambino a telefono – ma purtroppo devo dire che a Milano, dove mi sono trovato in situazioni analoghe con mia moglie incinta o anche con il bimbo appena nato, c’erano quattro medici, non uno. Forse qui è la normalità, non lo so, ma altrove non è così. La cosa peggiore è stato veder passare avanti a tutti una persona appena arrivata, solo perché ha detto di essere amico del medico. Non so se sia vero, io sono andato come una persona qualsiasi e mi sono messo ad aspettare come tutti il mio turno».

Verso l’una di notte, il bimbo di cinque mesi, forse stremato da ore di pianto si è calmato: «A quel punto, tranquillizzato per modo di dire, ho scelto di tornare a casa, decidendo di portare mio figlio ad una visita privata stamattina, con tutti i bambini nello stesso ambiente, il rischio era che si contagiassero l’un l’altro dato che ce n’era anche uno affetto dalla “sesta malattia”. Quando me ne sono andato c’erano ancora ad aspettare quelli arrivati alle 19. Se stavano ancora lì – conclude amaramente il genitore- vuol dire che non possono permettersi il pediatra a pagamento e non hanno nessuno da chiamare che possa fare qualcosa».