“Non voglio sfuggire alle mie responsabilità, nel caso ce ne fossero, ma vi prego dissequestrate la mia nave. Non possiamo lavorare”. Antonio Altomare, armatore molfettese del peschereccio “Pasquale e Cristina”, rivolge un appello al giudice del Trubunale di Patti, in Sicilia, che indaga per naufragio colposo sull’incidente in cui il suo natante è rimasto coinvolto la sera del primo luglio scorso. Il peschereccio pugliese, lungo 32 metri, quella sera si scontrò con un’imbarcazione lunga otto metri. Un pescatore solitario finì in acqua, recuperato poi dai sette membri di equipaggio della nave molfettese, impegnata in una pesca scientifica per conto di un laboratorio di biologia marina che lavora col ministero compentente.

Mentre scriviamo Altomare sta andando in Tribunale, a Patti. “La speranza è quella che il giudice voglia ascoltarmi prima che vada in ferie – spiega Altomare -. Questo fermo ci sta costando un occhio della testa, circa 2mila euro al giorno. Sono preoccupato. Il contratto che abbiamo con il laboratorio, in scadenza il 15 agosto, potrebbe essere revocato, costringendoci persino al pagamento di una penale”. Nell’incindente, a parte qualche danno, nessuno rimase ferito. Il peschereccio è coperto da assicurazione, quindi nel caso il giudice dovesse dare torto all’armatore mofettese, tutti i costi e gli eventuali risarcimenti sarebbero coperti. “La richiamo appena ho finito col giudice”, dice Altomare prima di interrompere la comunicazione telefonica.

Dopo 26 giorni e un danno economico considerevole l’armatore riceve finalmente la buona notizia. “La cancelleria del magistrato – dice Altomare tirando un sospiro di sollievo – ci ha confermato il dissequestro del peschereggio”. La notizia che tutti noi speravamo di ricevere e una conferma: i tempi della legge e della burocrazia, purtroppo ancora non coincidono con quelli della vita di chi ha la sciagura di dover affrontare un ostacolo, anche quando non si hanno colpe.