Tredici misure cautelari di cui 11 sono in carcere e 2 ai domiciliari.  Diversi i reati,  a vario titolo:di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga con l’aggravante del metodo mafioso, detenzione e porto di armi clandestine, ricettazione, usura ed estorsione. Sono finiti in carcere, il 45enne Leonardo Campanale e suo figlio 28enne Felice, rispettivamente figlio e nipote del boss Felice Campanale ucciso in un agguato mafioso nell’agosto 2013.

Dentro anche il 37enne di Conversano Rocco Masotti e il 41enne di Rutigliano Giovanni Zullo, detto «Pucci Pucci» (entrambi già condannati per l’omicidio di Mario Rizzo), il 51enne Nicola Antonio La Selva di Conversano, il 39enne barese Nicola Frappampina, il 32enne di Rutigliano Francesco Busano, detto «Mongolo», il 38enne di Capurso Giovanni Giancotti, detto «La Camorra», il 36enne di Rutigliano Erasmo Brescia, detto «Bidone» o «Ciambellone», il 35enne barese Gianfranco Ferrante e il 48enne di Rutigliano Michele Carbonara. A quattro persone, Felice Campanale, Brescia, Masotti e Zullo, l’ordinanza di custodia cautelare è stata notificata in carcere. Inoltre, due collaboratori di giustizia, ai domiciliari.

I carabinieri avevano cominciato a indagare subito dopo l’esecuzione di Mario Rizzo: fu massacrato in un bar di Rutigliano con diversi colpi alla testa. Gli inquirenti hanno così scoperto una trama complicata e feroce, in cui i Campanale, storico clan del capoluogo, cerrcavano spazi e affari ai danni dei clan considerati più deboli, espandendo i loro interessi anche nelle immediate vicinanze di Bari.

Rizzo era stato ucciso, a quel che appare dall’inchiesta, proprio perchè si era rifiutato di sottomettersi ai baresi, giungendo sino al punto di “punire” un loro emissario fingendo di ucciderlo con un colpo alla tempia dopo averlo fatto inginocchiare.

L’omicidio di Rizzo ha come dato il via libera ai Campanale. Alcuni clan dell’hinterland, a quel punto, si sono alleati con la cosca di San Girolamo per dominare i gruppi meno forti ed imporsi nel traffico di droga ed estorsioni. Forse per ritorsione, i primi taglieggiati sono stati proprio gli imprenditori del territorio controllato dal defunto Rizzo, tra cui anche un’impresa di pompe funebri.