Al mattino, quando esci di casa, ti desta meraviglia incontrare gente che ti spintona, ti urta, ostacola il tuo passaggio e non sogna, neanche lontanamente, di scusarsi. Ti metti alla guida e lo scenario che ti si apre è da “day after”. Un’aggressività illimitata ad ogni incrocio o scavalcamento di fila. Intolleranza ad ogni nano secondo dallo scatto del semaforo.

Poi torni a casa, accendi il computer (mi e Vi risparmio, gli incontri-scontri con la dipendenza ebete per strada, con lettori accaniti del cellulare esposti a rischio cadute sui marciapiedi sconnessi e stragi per colpa della guida distratta dal cellulare) e finalmente vedi la tua email con montagne di pubblicità spazzatura da eliminare (che invadono impunemente la tua privacy), e soprattutto, nei social network, con dotte disquisizioni di noti tuttologi e conseguenti esplosioni biliari degne di guerre stellari.

È il progresso questo? No, come al solito l’albero che cade fa più rumore di mille foreste che crescono. Il teppista fa notizia, mentre scende il silenzio sui suoi coetanei che studiano, si acculturano anche oltre la scuola con mezzi sempre minori.

Il progresso sono quei giovani, l’unica speranza di questo disgraziatissimo Paese, che li sta sempre più rinnegando e relegando a margine, e che, nonostante tutto, resistono e crescono, a dispetto di una meritocrazia negata, di diritti calpestati, di pensioni che non vedranno mai, perché i super manager se la sono scippata.

Scusateci ragazzi, siamo stati una pessima generazione. Nel ’68 abbiamo abbattuto falsi miti, ma non abbiamo saputo sostituirli con rinnovati e più validi valori. Vi consegniamo, purtroppo, un Paese peggiore di quello che ci avevano lasciato i nostri Padri e questo è proprio imperdonabile. Scusateci, se potete.