Il caso della sentenza della Cassazione in merito al differimento della pena per Totò Riina ha aperto un vero e proprio dibattito in tutta Italia. Secondo la Suprema corte, infatti, il capo dei capi “è malato e ha diritto ad una morte dignitosa” agli arresti domiciliari. E mentre si attende la decisione finale del Tribunale di sorveglianza di Bologna, da Bari, e più precisamente da Torre a Mare, arriva la lettera di Don Fabio Carbonara, diretta proprio a lui, al boss di Cosa Nostra.

Totò Riina,
le lettere si cominciano o con “gentilissimo” oppure con “caro”. Ma in questo caso mi limiterò a cominciare così, con il suo nome e cognome. Stiamo apprendendo tutti sui giornali la notizia della sua eventuale prossima scarcerazione perché “ha diritto ad una morte dignitosa”. E subito è guerra sui social. Perchè noi in Italia -e non solo- siamo abili sopratutto a dividerci. Ci dividiamo su tutto dal calcio, alla politica, agli immigrati. Ed ora anche su di lei. Su questa pseudo richiesta di “scarcerazione” (che nemmeno è stato ben capito quale fosse il succo della richiesta)

Verosimilmente , la teoria è giusta: la difesa della salute di ciascun individuo. Ma vede, la sua vita è troppo famosa. Tristemente troppo famosa. La mia generazione, e almeno due generazioni prima e due dopo, ha studiato le sue porcate sui libri, nemmeno come fosse la celebrità più importante del momento. Le abbiamo studiate quando abbiamo parlato di mafia, quando ci hanno spiegato cosa fosse “cosa nostra”, quando il nome del mandante di omicidi come Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino, Basile, Montalto, Chinnici e tanti, tanti altri era sempre il suo.

Non posso nemmeno dire quanti omicidi “circa”, ha commesso perché mancherei di rispetto a quelle che sono le vittime che forse oggi ignoriamo ancora: quel circa non è quantificabile. Lei è quello che ha deciso che per farla pagare a chi si stava pentendo e testimoniando contro di lei ordinò senza pietà “uccidete i parenti fino alla ventesima generazione, uccidete i bimbi dei pentiti”

Qualcuno, anche del mio ambiente, con la scusa di questa Misericordia (che è ben altra cosa da quella che invocano ora i suoi difensori) ha ipotizzato addirittura un suo pentimento. Mi possa bruciare un fulmine se lei si è pentito, lei che nemmeno due anni fa continuava a ordinare dal carcere di uccidere Ciotti. Lei sa che Ciotti vive una vita blindata, ma non si stanca di girare l’Italia nonostante i suoi 72 anni, per continuare a dirci che “la mafia è una montagna di merda”? Ciotti, come tanti altri non vive una vita “agiata”, ma vive una vita dignitosa, perché uomo di Giustizia.

Vede Riina, a me piacerebbe non credere solo nella Giustizia divina. Troppo facile, troppo comodo. Guardi le dirò di più: io credo in Dio, ho dato la mia vita per questo, ma dato che anche il Papa ci ricorda che avere dubbi…è lecito pensare che non possiamo fidarci solo di questo tipo di giustizia. E se poi non esiste? La passerebbero liscia lei e quelli come lei! Io preferisco non rischiare.

Io penso che ci sia bisogno di quella giustizia terrena che possa far capire alle nuove generazioni che nella vita si pagano le colpe, e che le sue colpe sono da pagare fino all’ultimo fosse altro per dar senso a quelle due parole che lei sicuramente non ha mai esercitato: Giustizia e Rispetto.

Le auguro di vivere la sua vecchiaia in maniera dignitosa, con tutte le cure mediche e ospedaliere di cui lei avrà bisogno e che è giusto e doveroso che lo Stato garantisca ad ogni individuo. Perché noi in questo ci crediamo. In carcere o in ospedale però. Ma a casa no. A Casa proprio no.

d.Fabio Carbonara