Rientrato a casa dopo un periodo di riposo forzato, finalmente Gianfranco Virgilio parla e racconta i fatti. Tanto è dovuto in quanto in questi giorni sono state riportate dichiarazioni non veritiere.

«Sono giunto presso l’Ospedale Miulli, accompagnato dal mio amico infermiere che lavoro presso il Pronto Soccorso di Altamura, e ho immediatamente riferito all’infermiera del triage i forti dolori al petto e al braccio che mi stavano affliggendo. Per me che ho lavorato in un pronto soccorso come OSS, e avendone visti tanti, mi sembravano i tipici sintomi di un infarto, pur non essendo un medico.

Secondo “le ultime linee guida sul TRIAGE del dolore toracico (Simeu Amco Giugno 2016) a un soggetto affetto da forte dolore toracico, pressione arteriosa 190/110, iperteso, ipercolesterolemico a cui viene assegnato il CODICE GIALLO, doveva necessariamente essere eseguita entro 10 minuti dall’arrivo al P.S. la registrazione elettrocardiografica nonché il prelievo enzimatico con valutazione seriate”, (riferisce il dottor Francesco Morisco cardiologo dell’Ospedale Di Venere) e giammai lasciato in sala d’attesa senza monitoraggio se non dopo oltre 40 minuti e con sintomatologia persistente e in crescendo.

Nella mia testa pensavo mille cose e soprattutto la paura di “morire”… e se si fosse trattato di una dissecazione aortica, avrei avuto speranze di sopravvivere dopo 40 minuti di attesa e senza rivalutazione, come previsto dalle linee guida, almeno ogni 15 minuti? Perché si sa, un codice giallo può evolvere verso un codice rosso, forse quando ormai è troppo tardi. Affermerei senza ombra di dubbio che ci sia stata negligenza nei miei confronti, inteso nel mero significato libresco del termine: “Atteggiamento di chi adempie svogliatamente e con scarso impegno i propri doveri”.

Evidenzio che il lasso di tempo tra il mio arrivo e l’esecuzione di un elettrocardiogramma (gli orari sono stati forniti gentilmente nel comunicato stampa del nosocomio stesso) sarebbe stato sicuramente maggiore, se non fosse intervenuto il mio amico infermiere, che è a conoscenza dell’esatto percorso diagnostico-terapeutico all’interno del servizio di accettazione e P.S., il quale ha provveduto a sollecitare il medico del P.S.

Dopo essere stato sottoposto a prelievi ematici per enzimi cardiaci, solo dopo un’ora e mezza, 90 minuti, mi è stata rivalutata la pressione arteriosa (unica volta in cui è stata effettuata in pronto soccorso, come si evince sempre dal suddetto comunicato) e somministrata “mezza fiala” di CATAPRESAN, senza ulteriore monitoraggio né clinico né strumentale. Visti i lunghi tempi di attesa, il mancato incontro con un medico del P.S. ho supplicato i miei amici presenti di “aiutarmi”, io stavo MALE!

Questi ultimi di loro iniziativa, e senza richiesta da parte del medico del P.S. di consulenza cardiologica (effettuata solo successivamente alla visita in forma cartacea), mi hanno accompagnato in carrozzella in cardiologia alle ore 18.45, tanto è vero che il medico ci ha chiesto se eravamo in possesso di richiesta di consulenza cardiologica. In quel momento mi premeva che un medico mi visitasse e ho pregato il cardiologo di farlo, non riuscivo più a respirare perché il dolore mi opprimeva il petto, sudavo e mi sentivo mancare.

In attesa che mi venisse eseguita la diagnostica, ho telefonato al cardiologo di fiducia del Di Venere che ha dichiarato al cardiologo del Miulli la più ampia disponibilità relazionale nel caso di specie e di un eventuale mio trasferimento alla cardiologia del Di Venere. Successivamente, il cardiologo del Miulli ha provveduto ad eseguire l’ecocardiogramma, alle ore 19 circa.

Udita la telefonata intercorsa tra i due medici, dopo circa tre ore di dolore e senso di morte, ho deciso di scappare e raggiungere l’unico ospedale che per me rappresentava in quel momento la sola speranza di vita. Giunto al Di Venere, sono stato sottoposto ad ecocardiogramma, elettrocardiogramma e ricoverato in terapia intensiva, e successivamente a due angioplastiche che mi hanno fatto “rinascere” e mi hanno permesso di riabbracciare i miei cari.

Orbene, come ho già riferito nel corso dell’intervista rilasciata nell’immediatezza dell’accaduto, in un letto di ospedale, non è mia intenzione procedere ad una richiesta di risarcimento danni. Il mio unico scopo è quello di LOTTARE, come ho sempre fatto da sindacalista USPPI, affinché questi spiacevoli episodi non accadano nuovamente e il paziente sia sempre rispettato, visto come essere umano e non come un numero».