«Caro Presidente Michele Emiliano (e nel mio caro non c’è nessun tono polemico)» inizia così un lungo post su facebook del dottor Felice Spaccavento, rianimatore dell’ospedale di Corato, uno dei tanti intervenuti martedì 12 luglio sulla scena del disastro ferroviario che ha colpito duramente la nostra regione. Il dottor Spaccavento è formatore per l’European Resuscitation Council e l’Italian Resuscitation Council nei corsi di emergenza cardiorespiratoria. Paradossalmente, si occupa di formare medici e infermieri all’ospedale Sant’Anna di Como, di quella tanto acclamata sanità nordica rispetto a quella “sudicia”, bistrattata e dissestata. Alla luce di quanto successo quel maledetto martedì sui binari tra Andria e Corato, ha qualcosa da dire sul piano di riordino ospedaliero del presidente Emiliano. Ecco cosa.

«So che questi sono per lei giorni di alta tensione. Immagino a quante domande debba rispondere. Non vorrei essere al suo posto, ricordo benissimo la sua faccia quel pomeriggio. Ricordo il suo sudore e il colore del suo viso. Lei stava soffrendo veramente, e io, che faccio il medico e che conosco la sofferenza, l’ho capito subito guardandola fugacemente negli occhi mentre mi stringeva la mano anche se per lei ero uno sconosciuto».

«Oggi finiscono ufficialmente le mie ferie. Sono arrivato nel mio ospedale, postaccio di frontiera. Amo i postacci, li ho sempre amati. Ho timbrato qualche minuto prima come i bimbi al primo giorno di scuola, eppure è cosa che faccio da almeno 10 anni. Di solito sono puntuale, ma oggi ho deciso di partire prima e guidare lentamente, al contrario di alcuni giorni fa. Mentre arrivavo sentivo la tristezza, l’amarezza, quell’impotenza che mi ha accompagnato alcuni giorni fa: la sconfitta, il dolore. Ho evitato di rifare la strada Bisceglie-Corato da quel giorno. Sa, una maniera di preservarmi, forse per distaccarmi. Con i miei amici ne ho parlato poco, con mia moglie pure; i miei figli sono troppo piccoli. Vorrei allontanare presto quelle immagini di una sorta di territorio di guerra, io che al contrario sono un fervente sostenitore della pace».

«So anche che il tempo, come sempre, sarà il miglior Medico, ma le cicatrici rimarranno su di me, su tutti i cittadini di Ruvo, Terlizzi, Corato, Andria, Barletta e rimarranno anche su di lei. E allora, facciamo in modo che queste nostre cicatrici diventino radici di riflessione. Le chiedo nuovamente di considerare quest’area del Nord barese come un’unica entità, e di pensare che questa vasta zona dell’area Nord, nel vostro Piano di riordino è stata trascurata. Presenterà ospedali di base che non possono dare una risposta sanitaria adeguata al numero elevato dell’utenza».

«Saranno doppioni di se stessi, mancheranno di specialità, quali l’urologia e la nefro-dialisi, la Cardiologia di Molfetta, la Ginecologia e Pediatria e la Cardiologia di Corato, la Pneumo, l’Oculistica e l’Otorino, il servizio di Ecografia prenatale di Terlizzi, che forniscono servizi eccellenti e già ci sono».

Le chiedo perché non pensare ad unire queste bellissime e funzionali forze in una qualsiasi struttura già esistente, qualunque essa sia, creando 4/8 posti di terapia intensiva con noi anestesisti rianimatori dei tre presidi. Perché non superare questo scoglio dei 3 paesi e considerare, veramente, il Nord barese come una unica grande città? Perché l’area Sud ha e avrà un Ospedale, quello di Monopoli, che sarà il fulcro di quella zona e non pensare che anche quest’area ha necessità di un ospedale di riferimento?

«Quel pomeriggio eravamo tutti lì, indistintamente. Non ci chiedevamo di che paese fossimo, da che ospedale provenissimo. Eravamo tutti insieme per dare una risposta concreta. La buona sanità si può fare unendo le forze, le buone forze. Ce lo permetta e i risultati non mancheranno. Io, come lei, amo la mia terra senza confini e tra Molfetta, Ruvo, Terlizzi, Corato non vedo linee di demarcazione, ma solo tanta, ma tanta gente, che ha bisogno di una sanità a 360 gradi, in un serio ospedale che non avrà mai, se non glielo regaliamo noi. Incontriamoci e parliamone, prima che quelle cicale, quelle di quel pomeriggio, smettano di frinire».