Una sentenza, emessa lo scorso lunedì dalla quarta sezione del Consiglio di Stato (con il numero 850/2016), dà un’altra spallata agli asfittici conti del fortino di via Toscana. Si tratta dei buoni pasto erogati al personale dipendente militare e successivamente oggetto di una procedura di recupero da parte dell’amministrazione.

A tale procedura, alcuni hanno resistito anche in appello, dimostrando come “i dipendenti non hanno percepito somme in denaro, bensì titoli non monetizzabili destinati esclusivamente ad esigenze alimentari in sostituzione del servizio mensa e, per tale causale, pacificamente spesi nel periodo di riferimento, e che, pertanto, si tratta di benefici destinati a soddisfare esigenze di vita primarie e fondamentali dei dipendenti medesimi, di valenza costituzionale, con conseguente inconfigurabilità di una pretesa restitutoria, per equivalente monetario, del maggior valore attribuito ai buonipasto nel periodo di riferimento“.

Quindi si tratta di prestazioni assistenziali e non di un’indebita retribuzione che come tale deve essere rimborsata dai militari. Quello che stupisce è il pressapochismo di chi gestisce i conti dell’associazione di volontariato più grande del nostro Paese. Abbiamo come la sensazione che i conti siano stati fatti senza l’oste e che chi ha ideato questo smantellamento mascherato da operazione di ristrutturazione non ha ancora contezza di quante siano veramente le situazioni debitorie in essere. Per questa ragione un tappo su questo pozzo senza fondo e maleodorante non potrà mai essere messo.

Adesso anche chi ha sempre difeso la privatizzazione della Croce Rossa Italiana adesso sta facendo marcia indietro. Del vecchio establishment, tutti sistemati a via Ramazzini, o a via Toscana o in qualche pertugio della sanità privata romana, rimpiangono i bei vecchi tempi e definiscono la Cri come bene pubblico comune.

L’aeroplano sta cercando in tutti i modi di atterrare, ma la verità è che sta precipitando, preso a bordate dalla magistratura, la stessa che a due mesi dall’ultima udienza non riesce ancora a mettere fine alla querelle capricciosa tra il presidete nazionale Francesco Rocca e quello sardo Francesco Gallistru, prima sospeso e poi reintegrato nelle sue funzioni dal Tar. La Croce Rossa nata 150 anni fa sta morendo lentamente, voi continuate a chiamarla, se volete, privatizzazione.